Dario Micacchi – 1982
Camillo Catelli e l’uomo che cammina

Nato a Napoli e formatosi nell’ambiente napoletano che continua ad essere un grembo drammatico ma straordinario di scultori – basterà ricordare l’apporto nuovo alla scultura italiana dato da Augusto Perez col suo eros potente, ma come imprigionato, di greco costretto a vivere tra le tante cornici e vesti di parata di una società barocca e spettacolare – Camillo Catelli è alla sua prima mostra personale a Roma. Presenta 30 sculture in bronzo, di piccole e medie dimensioni, tra il 1978 e il 1982, e altrettanti disegni, le une e gli altri di una qualità visionaria rara per invenzione e tensione dell’energia formale.

Catelli domina assai bene materia e tecnica della scultura in bronzo. I suoi motivi plastici nascono dalla vita di tutti i giorni: sono figure maschili e femminili, in corsa o in cammino, che avanzano nello spazio della vita a conquistarsi uno spazio libero e incontrano un attrito tremendo che le frena, le ingabbia, le schianta. La forma è modulata (più che modellata) in modo che sembra resistere o subire la pressione di venti misteriosi; a volte risulta schiacciata come percossa dal vento in un tunnel per le prove aerodinamiche; altre volte è fermata nel movimento che quasi decolla per essersi liberata dell’attrito col mondo. Ci sono, poi, altre sculture che guardano ossessivamente il cielo; e sculture di esseri umani che si aprono la strada nella natura, «Figura tra le canne” del 1980, o sembrano regnare su una pace conquistata come nella “Figura sulla sommità del monte” del 1982 o che si lasciano andare nel flusso naturale come “Figura nell’acqua” del 1980.

Catelli “suona” l’anatomia del corpo come uno strumento musicale: i volumi sono segnati da linee tortuose, spiraliche, dinamiche, assai ben ritmate tra pieno e vuoto e che amplificano la tensione del desiderio di vita. Nei disegni l’ansia sembra concretizzarsi e chiarirsi per una minaccia -una nube tecnologica – che viene dal cielo. Tra slan-cio-desiderio e resistenza-attrito l’immaginazione di questo scultore novissimo ha creato molte forme tra le più energiche e originali che oggi sia dato di vedere nello scultura italiana che pure è ricca, è varia e in recupero rapido delle memorie materiche e culturali, del museo anche.

In Catelli non c’è museo anche se la sua immaginazione è ossessivamente umana e mediterranea. È chiaro che nelle sue visioni questo giovane napoletano sogna e parla con i Kouròi greci che avanzano nell’alba del mondo sorridendo lievemente, con l’Apollo etrusco di Veio, con i fauni itifallici del tripode del Museo Archeologico di Napoli, con il Bernini dolcissimo dell’Apollo che non riesce a stringere Dafne tra piante e acque, con Rodin dell’uomo che cammina, con Giacometti dell’uomo che si consuma nella sua lotta per andare avanti, con Boccioni dell’uomo lanciato nello spazio come se il desiderio avesse un motore di spinta atomica e non sapesse che troverà il vuoto e le ombre lunghe della Metafisica di De Chirico.

Per questo suo voler andare avanti con la coscienza del vuoto, per questa sua energia esatta di slancio e di volumi, Camillo Catelli ha qualche affinità con lo scultore francese Ipoustéguy il quale sogna e scolpisce un Mediterraneo come tragico ma possibile grembo moderno.