Dario Micacchi – 1986
La rovina lirica di Catelli

Il motivo plastico dominate di questo sorprendente gruppo di piccole e medie sculture in bronzo e terracotta che espone il giovane Camillo Catelli, napoletano trapiantato a Roma da qualche anno ma senza perdere radici, è la raffigurazione primordiale di un uomo chiuso in un antro o in una stamberga o in un tempio rovinato; e che si guarda allo specchio o medita schiantato o guarda il cielo come se nel mondo fosse passata un gran rovina.

La materia, argilla o bronzo, è trattata drammaticamente, tormentata di solchi e di piccole voragini dove penetra l’ombra. È strano ma, nelle immagini, quest’uomo della rovina sembra attendere qualcuno o qualcosa.
M’è venuta in mente quella forte poesia di Bertold Brecht dove dice di un uomo che, dopo il disarmo nazista, andava in giro con un mattone sotto il braccio per far vedere a tutti come era fatta la propria casa. La rovina di Catelli è creazione di una immaginazione lirica ardente e furiosa. Forse in queste forme arrivano per vie mediate echi dei disastri del mondo; ma la dimensione immaginativa dello scultore è concretamente quella della prefigurazione e della visione.

Le invenzioni volumetriche più belle e possenti sono nelle architetture crollate e sghembe, irte di spunzoni e protesi verso la luce: una grande civiltà superba e raffinata sembra essere regredita nella grotta.
In questa situazione l’uomo che torna a guardarsi allo specchio o che prova a far poesia come fosse chiuso in una bara è davvero un personaggio straordinario che la scultura nuova, ancora non ci aveva dato.