Mario Maiorano – 1984
“L’antica forza di Catelli” Una scultura campana. Ist. Geografico Italiano

I modi con cui Camillo Catelli affronta la scultura si riallacciano ai grandi filoni dell’imperiosa dignità d’arte. In un vero e proprio classicismo moderno, ed anche in una simbologia mitica di robustezza e di potenza, il rilievo e le forme di Catelli, avulsi dalla piacevolezza statuaria, sono integrati in una rappresentazione estetica rigorosa ed aggressiva insieme; e danno, con molta evidenza, il netto contrasto tra l’ormai rarefatta armonia del bello come simbolo di giusta simmetria, e lo stimolo, oltre i lineamenti, ai rilievi dei seducenti grovigli dei volumi, per atteggiamenti informi delle masse, delle superfici levigate, e per l’ineguaglianza dei contenuti non riferiti ad una rappresentante contingenza.
L’accentuazione di questi contrasti, con la suggestione di un arcaismo drammatico che perviene sino alla tragedia e all’affermazione continua della trasfigurazione espressiva, vive in uno slancio di affidamento a linee di forza, che, oltre gli allusivi contenuti, cercano accordi non contraddittori tra spirito e materia, dimensione e spazio, interesse sconcertante per un barbarico accento e l’ispirazione fascinosa di una fisionomia plastica propria della nostra mediterraneità. Qui, lontani da un tipo di scultura d’influsso greco-romana, ma vicini alle sorgenti primitive di una storia nel legame tra la terra nordica e l’italica idolatria del mitico, siamo accostati ad una libertà espressiva che gioca movimentatamente con tutta una determinata sua influenza.

Non esistono forme statiche, difatti, nel mondo di Catelli; ma non n’è neppure la spoliazione di una struttura per una rarefazione drammatica, perché tutto è foga e percussione, e comunque fantasia di furori, ed ancora furia di molteplici forze che si avvicendano, si scontrano, e le une e la altre, quasi in una guerra di prepotenza, con uno spirito di penetrazione intensa, una ricchezza di oggettivazione ed un’insistenza spietata di un’articolazione avventurosa.

È l’impronta drammatica dell’uomo, questa di Catelli; dell’uomo forte; ma dell’uomo che ha da essere sempre più forte, e sempre con la vicenda dei voleri antichi nella lotta a cogliere la potenza di una tensione che si arma di pesante monumentalità. Per il suo vigore si accede allo straordinario nell’indicazione della tendenza a provocare sagome che sono un compendio di quasi architettura tra bizzarrie accartocciate e slanci frementi, prestigiosi tanto nella pesantezza quanto nella mobilità, mentre l’espressione richiama ad una totale tempestajDer un assalto informe di rinforzate immaginazioni. E quest’uomo che sempre è presente nella sua emanazione di frequente emotività di un meraviglioso disordine, di disorganicità e natura piuttosto primordiale, ove è anche il dominio del fallico e della sembianza del moderno gladiatore in cui la brutalità non cede il passo alla gentilezza ed il peso e gli attorcigliamenti allontanano sempre più gli indici dalla suggestione di serenità, è all’estremo della propria configurazione; con i piedi verso l’abisso e gli occhi rivolti al cielo in un ritmo espansivo di energia movimentata.

Per questo la tematica di Camillo Catelli rifugge dalle restrizioni di una oggettiva immagine di assuefazione al peso dei simboli terrestri, per vivere nel titanico, nel violento, nel brutale, sia che essa parli di lotte, di sforzi immani di esseri singoli impegnati a liberarsi, ad abbattere o a conquistare, sia che riporti il vinto sulla soglia dell’esasperazione o della morte o al di là dei sogni a realtà non raggiunte, sia che richiami utopie e voluttà di forme barricate intorno ad un’anima straziata da una emotività fortemente accentuata.
Gli uomini di Catelli, nella sostanza, sono tutti mitici, non sognanti, non riportati alla leggenda o ai fatti raccontati nell’alone di una suggestione, bensì uomini di sofferenza, di travaglio, addirittura sulla soglia dei tormenti più lievitati, anche della crudeltà; che non cercano pietà neppure quando muoiono tragicamente, ma che di una sofferenza fanno un trionfo e di uno spasimo una gloria, che della lotta esprimono l’alternativa all’esistenza per essere veramente nell’atto di sé, con raffiche continue di dichiarati dolori senza lacrime e senza pianto; che su tutti agiscono ancora nell’antica possanza di quello della pietra e del ferro, prima dell’arrivo delle carogne dall’intelletto crudele; che la loro potenza, ed anche ferocia, manifestano solo al momento di lottare, per vivere, contraen-do se stessi, e senza compimenti di atti specifici e determinati per un male che puzza di vergogna, e comunque uomini non scioperati nello scoppio dei sentimenti dell’invidia e della perfidia, nell’immoralità paraventata di affabilità e rettitudine, ma sempre puri nella lotta per un pugno di erotismo e di vita, che è anche di morte e di sangue. Ma quali sono le vere origini di questa radicalità scultorea? Che forse altri artisti contemporanei, da Brancusi, a Martini, a Fazzini non hanno anch’essi impresso il loro scavo sull’uomo forte e robusto? Certo, e col diritto di ogni crisma personale e, ove vogliamo, limitativo a scorgere diretti fili conduttori tra gli uni e gli altri. Possiamo per questo pervenire anche agli estremi limiti di Iché, di Lorenz, di Marini, di Koenig, dello stesso Perez.

Ma le figure possenti di Catelli sono più del simbolo di una inquietudine violenta e di una necessità: sono la logica conseguente dei disagi di una realtà, di una vita che non si disperde nelle sue forze, di un limite alle passioni drammatiche. In tutta una fusione di immagini potenziali, scambievolmente equilibrate in costanti disequilibri le une al confronto delle altre, Catelli rende blocchi emblematici percorsi e ripercorsi nella loro luce e sostanza.
Mai v’è figura che alterni con un suo dettaglio una distinzione ed una esemplificazione, mai v’è una vitalità contenuta o repressa, ma ogni prova e riprova è sempre una costruzione, una propulsione, una combinazione d’esecuzione. Molto s’identifica nel senso rotatorio della materia, ma molto è anche obliquamente orientato nello spazio con misura d’instabilità. Questo punto focale di una scultura così energica, indubbiamente risponde a delle leggi plastiche ed attinge sempre alla stessa fonte nella pura espressione del blocco come coscienza di una memoria, per venir fuori da un antico valore, che di volta in volta ha tensioni di spasimo e di dinamica bloccata sul punto di una progressione drammatica. E questa risoluzione strutturale che è avvertita in tutta la sua vitalità, produce effetti di straordinaria qualità.

Siamo di fronte alla presenza di una manifestazione organica, in cui la tipica civiltà del linguaggio dell’energia trova esclusiva assiduità nella sintesi dei racchiudimenti che diventano spazio, geometria, compattezza. Il carattere della scultura di Catelli imprime questi enunciati in una statuaria dominata dall’inquietudine e dal frenetico ritmo, e col prestigio di una conquista delle forze poste costantemente sulle tracce di una cultura che vive oltre i silenzi dei tempi per equivalersi nella trascendenza della modernità, come un’alternativa al bello primordiale; giacché la sensibile quasi continua elettricità delle figure, quell’espressionismo analitico, quell’indagine sulla rotta dei misteri del reale sono più di qualcosa profondamente umano. Nella fedeltà agli inconsapevoli misteri che hanno animato gli spettri erotici dei pensieri in un riporto al mondo disotterrato del dramma e della tragedia primordiale, gli esseri di Catelli sono sulle tracce degli stessi sentimenti antichi che vivono ancora in noi, idealizzati dalle essenze di incontestabili espressioni liriche che dal piacere vanno allo spasimo, ai prodigi dell’assoluta nostra intima forza.