Lucio Del Gobbo – 1989
Camillo Catelli alla Galleria Centofiorini

Ci sono pittori che con la pittura scolpiscono (chi non ha presenti le pietrose rupi e le solide figure che Giotto con il pennello ha “scolpito” sulle pareti della basilica di Assisi) e scultori che dipingono con la scultura.
Camillo Catelli, artista napoletano operante ai Camaldoli, presente in questi giorni nella rinnovata Galleria “Cento Fiorini” di Civitanova Alta,appartiene a questa seconda categoria. Le sue terrecotte, non proprio grandi come quelle di Martini ma pur sempre ragguardevoli per dimensioni (chi conosce come si modella e cuoce l’argilla sa quanto sia faticoso ed arduo lavorare in dimensioni che superano il mezzo metro di lato) hanno la caratteristica di essere pittoriche; non solo per il tipo di figurazione che realizzano e per le ombre e le luci che sanno condensare tra le fitte screziature dell’argilla ma, soprattutto, per la pittorica spazialità che esprimono,una spazialità da scena dipinta con tanto di quinte e fondale.

Il pittore solitamente fa levitare le forme nello spazio illusorio della tela senza remore,accumulando nel cielo le più ardite architetture, così avviene nell’incisione e nei disegno (esiste una tradizione in proposito, dalle bizzarre e intricatissime prigioni di Piranesi ai fantastici “ottovolanti” di Gordon-Flash) con l’oggetto scultoreo è più difficile, specie se la materia che lo compone in origine è molle e non accetta d’essere irrobustita con corpi estranei all’interno. Eppure le sculture di Catelli, sebbene ottenute per modellazione (terracotta e bronzo sono la stessa cosa) hanno tale virtù di abbracciare lo spazio, come certe composizioni di Arturo Martini dove minute figurine (si deliziava anche del piccolo) fanno capolino attraverso le sommarie architetture che le accerchiano.

Ma a bilanciare questa istanza di spazialità pittorica (Catelli, non si dimentichi, è anche pittore) c’è, uguale e contraria,un’esigenza di sintesi che specie nei bronzi si evidenzia come caratteristica di espressione. Si assiste allora ad un’autentica fusione tra figure e paesaggio: la donna-rupe, l’uomo-montagna.

Un modo di sintetizzare e di significare che prende àvvio da un’esigenza epica e poetica fortemente avvertita. Perfettamente in linea la presentazione di Arnoldo Ciarrocchi che, da quell’artista sensibile e capace scrittore che è, spiega queste opere in termini poetici richiamandosi all’epica “inutile” di Catelli che scolpisce nelle pietre Mun monumento al marinaio che non è stato mai consegnato: “E’ rimasto qui all’Asola confitto come una pietra sacra su un prato dove fiorisce la camomilla. Nei giorni di pioggia l’acqua scorre nelle rughe, nei tagli della pietra e si raccoglie in certe piccole conche che hanno la forma di un’acquasantiera”.

È questa la seconda mostra che la “Cento Fiorini” presenta nel rinnovato spazio del quattrocentesco Palazzo Sforza e non manca di quel fascino raffinato e particolare a cui i titolari, provetti sceglitori di forme e di “tendenze”, ci hanno ormai abituato.