Guido Giuffrè – 1978
“Il segno e la forma”, dal cat. sculture e disegni preparatori – Galleria Sirio, Roma

Camillo Catelli è alla sua prima personale romana e il fatto che, scultore, egli esponga soltanto dei disegni non dovrebbe in alcun modo sminuire l’impatto tra la sua robusta personalità e l’ambiente che egli affronta per la prima volta Se infatti questi disegni mostrano una perfetta autonomia, realizzandosi compiutamente sul piano del loro linguaggio, essi rivelano insieme i tratti che sono propri dello scultore, non escluso quello, infrequente, di un’insaziabile ansia di ricerca che rifiuta ogni ripetizione.

Questi tratti si riassumono essenzialmente in un dinamismo e in un’energia insieme trattenuti e prorompenti, la cui alta tensione drammatica deriva proprio dall’instabile equilibrio tra la flagranza del moto, colto quasi nell’attimo della sua esplosione, ed un suo sùbito arrestarsi come per una forza che lo blocca e lo comprime. La mente va al futurismo, ma ad un futurismo quale fu ad esempio quello di Sironi, diviso appunto tra il moto e un’esigenza di statica monumentalità (con qualcosa forse anche – né si saprebbe dire perché – del Sironi seguente, vuoi delle periferie che sembrano trattenere a stento una forza vulcanica, vuoi di certa altra monumentalità sempre percorsa, nella sua immobilità, da una energia latente).

Catelli è artista figurativo – l’aggettivo risulta nei fatti meno vecchio che non si pensi – e il suo figurare davvero non motiva alcuna remora. Anche la lata, generica ascendenza futurista di cui si diceva non diminuisce in alcun modo l’attualità di queste immagini, percorse da una vitalità impetuosa che rompe le forme e le apre allo spazio colmandole al tempo stesso di una smania profonda. L’uomo vi appare sempre preda di qualche tormento. In forme talora plasticamente bloccate dove è diretta l’allusione alla salda materia della scultura, o in forme rotte e frementi, di una grafia nervosa ma ferreamente strutturata secondo scansioni e ritmi inderogabili, i personaggi di questi disegni scattano, si torcono, fuggono in un viluppo di arti monchi o volano via come lanciati da una catapulta, – sempre trascinati da una forza che li trascende. L’uomo non è arbitro del suo destino, tutt’altro; mostra piuttosto di piegarsi, anche se aspramente riottoso, a un dramma più forte di lui.

Ma non è dramma programmato. Si sa: quanto meno un artista ha motivazioni interiori, quanto meno è in grado di vivere un’intrinseca necessità del suo lavoro, tanto più intende colmarlo dì “contenuti”, di “messaggi”, tanto più insomma vuole dire della complessità dell’uomo, del mondo, della società e via discorrendo. Che rispetto alla vita delle forme è tutta retorica. Catelli appartiene all’altro versante, dove, evitando il rischio opposto del formalismo, non v’è cosa da dire che non debba farsi immagine, e questa vivere delle sue proprie leggi che sono appunto formali. Ed ecco qui la smania tradursi in questi contorni che vogliono chiudere le figure e costringerle ad una compattezza che lo scultore sente imperiosa, ma che tosto si rompono e si sconnettono per l’impossi-bilità proprio di definire, di concludere, e saltano come per l’esplosione di un’energia che è però appunto smania e tormento di vita. E sempre secondo un ritmo interno che riàncora le forme, non più al momento descrittivo o narrativo, ma ad una struttura compositiva dinamica e scattante.

Il giovane artista napoletano attraversa un momento di grande tensione e di dubbi profondi. Lavora, distrugge, ricomincia. Con i tempi che corrono, sarebbe strano il contrario. Ma Catelli non vive il suo disagio astrattamente; questi disegni, talora di un’acutezza lancinante, ne sono la prova. E quando dubbi e disagi prendono forma in questo modo, quando la via che un artista sa tracciarsi è di tale impegno, allora davvero c’è da sperare in un futuro migliore.